Maria Luisa Spaziani
Nel 1990 Maria Luisa Spaziani pubblica il suo poema-romanzo in endecasillabi Giovanna d’Arco, definito da lei stessa come una delle sue opere più sperimentali. Uno degli elementi più particolari del libro è l’invenzione di un linguaggio: Giovanna d’Arco in diversi punti del poema parla con un angelo, che si rivolge a lei in una lingua inesistente, composta da un miscuglio di suggestioni latine, greche, provenzali, francesi e tedesche. Marò mivalla univallentes pria La lingua inesistente, inaudita, con cui la Spaziani fa parlare l’angelo non rappresenta un unicum nell’opera della poetessa torinese. Spesso torna, in diversi momenti e luoghi della sua produzione, il tema della lingua, del logos che si pone al di fuori di ogni interpretazione simbolica, della glossolalia o della voce pura. L’angelo che porta questa voce è, per la Spaziani, la poesia stessa, ovvero quella forza che preme costantemente dai confini del territorio della lingua e del dicibile, deformando tali confini, facendo scorgere spiragli di enunciazioni inesplorate, zone di voce ancora pure.
Riccardo Giacconi |